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Digiunare fa bene?

I meccanismi neurobiologici che regolano il circuito fame-sazietà sono molto complessi. Si sono radicati nel corso dell’evoluzione dell’uomo in funzione della disponibilità di cibo e del bisogno di sopravvivenza. L’evoluzione dell’umanità è stata caratterizzata da carestie, da scarsità alimentare e da malattie connesse alla carenza di alcuni micronutrienti essenziali come lo scorbuto (carenza di vitamina C che il nostro organismo non è in grado di sintetizzare e che si assume con frutta e verdura fresca: la malattia dei marinai) o la pellagra (carenza di vitamine del gruppo B, in particolare della B3, altresì chiamata vitamina PP che sta per Pellagra Preventing) che ha funestato le popolazioni del nord d’Italia tra la fine del ‘700 e tutto l’800 che si alimentavano quasi esclusivamente a polenta di granturco e sorgo.

La rivoluzione industriale e l’industrializzazione dell’agricoltura hanno messo a disposizione di una parte della popolazione terrestre un surplus alimentare, una quantità di cibo ad altissimo contenuto nutrizionale che non si concilia col meccanismo di accumulo energetico dell’organismo umano che ci deriva dalla nostra storia evolutiva.

Siamo soggetti ad una massa sterminata di ‘segnali’ che ci invitano a mangiare e contemporaneamente sono venute meno le barriere tra il desiderio di cibo e la sua immediata disponibilità. I nostri meccanismi di avviso della sazietà intervengono a rilento ed intanto accumuliamo nel nostro organismo depositi di energia, essenzialmente sotto forma di grassi, in previsione di un ipotetico futuro di carestia.

“Fino ad un secolo fa, tutto rimaneva in una situazione di sufficiente equilibrio […]. Al giorno d’oggi, circondato da ogni ben di Dio, il nostro sistema risparmiatore ha il sopravvento e, che ci piaccia o no, se ne fa un baffo di tutte le nostre pastiglie per dimagrire.”[1]

Questa è certamente una semplificazione che non tiene conto di possibili ed anche frequenti alterazioni del metabolismo individuale e della complessità dei circuiti cerebrali del piacere che in parte si sovrappongono a quelli legati al cibo[2], ma descrive una situazione che esercita un peso determinante nelle dinamiche alimentari delle aree geografiche caratterizzate da elevata disponibilità alimentare.

Restrizioni alimentari

In questo contesto la pratica del digiuno nelle sue diverse formulazioni, come protocollo di igiene alimentare, interviene sul duplice versante della riduzione dell’apporto calorico e di un accrescimento nel paziente della consapevolezza del proprio approccio al cibo.

Scrive Erzegovesi “Possiamo chiamarla Giorno di Magro, Dieta Mima Digiuno, Restrizione Calorica Intermittente, la filosofia di fondo è una sola: dare una sferzata in più all’organismo e, soprattutto, aiutare il corpo e la mente a guadagnare più energia e lucidità”.[3]

I fan del digiuno mettono in rilievo l’importanza del digiuno nella letteratura medica più antica: Ippocrate, Avicenna, la Scuola Medica Salernitana del XII secolo, Paracelso, per citarne alcuni. Richiamano la presenza del digiuno come pratica spirituale universalmente riconosciuta di salvaguardia dello spirito e del corpo: il digiuno quaresimale, il Ramadan, lo Yom Kippur per citarne alcuni.

Questi precedenti depongono a favore della riscoperta moderna della restrizione alimentare. Gli scienziati, (tra cui spiccano due ricercatori italiani, il prof Valter Longo, ricercatore e direttore di istituti sulla longevità a Los Angeles e a Milano, e il Prof. Luigi Fontana docente di medicina e scienze nutrizionali dell’Università di Brescia e la Washington University di St. Louis), stanno dimostrando che la restrizione calorica, intesa come una riduzione dell’assunzione di cibo in assenza di malnutrizione, sia in grado di prolungare la vita di diversi organismi, dai più semplici ai più complessi e un’arma potente nella prevenzione delle malattie legate all’invecchiamento[4].

Le diverse formule del digiuno

Ma come la restrizione calorica debba essere messa in atto senza influire sulla qualità della vita e sul benessere percepito delle persone è ancora tutto da svelare. Tanto è vero che le linee guida nutrizionali ufficiali non la contemplano come una pratica alimentare collaudata.

Anche per le pratiche del digiuno, il rischio è che avvenga quel che in passato è avvenuto per le diverse ‘diete’ che, pur partendo da un assunto plausibile e con qualche fondamento scientifico, si sono trasformate in mode e prescrizioni che allontanano le persone dalla chiave del problema: che il nutrirsi è un atto che dovrebbe essere consapevole e che riguarda la sfera più intima del rapporto con noi stessi, con gli altri e con il mondo.

Vi sono formule di digiuno diverse: il digiuno di 12 ore (digiuno dalle 19 alle 7 del mattino per esempio, per due volte la settimana); il digiuno di 16 ore  o metodo 16: 8 (il digiuno si estende dal pasto della sera prima fino al pranzo del giorno successivo per una volta alla settimana); il semi-digiuno di due giorni la settimana, cioè la restrizione calorica intermittente, resa famosa dal medico divulgatore scientifico Michael Mosley, secondo il cui protocollo la restrizione caloria di 500-600 calorie si applica per due giorni alla settimana; il semi-digiuno promosso dal prof. Luigi Fontana, che prevede una restrizione alimentare in due giorni alla settimana in cui è possibile consumare solo verdure a volontà, oltre ad acqua e tisane non zuccherate.

Il prof. Stefano Erzegovesi, psichiatra e nutrizionista e quasi cuoco, come egli si definisce, recupera il concetto del Giorno di Magro della nostra tradizione, e prevede un giorno di magro alla settimana, in cui la dieta è costituita da piccole quantità di semi oleosi, in particolare noci, da brodi vegetali, alimenti prebiotici come la fecola di patate non cotta o probiotici come verdure fermentate e kefir.

Nutrirsi consapevolmente

L’approccio del prof. Erzegovesi è sicuramente interessante. Egli ritiene, ed a ragione, che la giornata di restrizione alimentare non drastica ma comunque sensibile, sia una straordinaria occasione per la persona per ‘ascoltare’ il proprio corpo nei confronti del cambiamento nutrizionale, di riappropriarsi dell’atto alimentare come atto volontario, legato alla fame e non alla noia o a pulsioni incontrollate. Che rappresenti inoltre un momento di manutenzione degli apparati coinvolti nel processo alimentare, del microbiota, che in quell’intervallo approfittano per regolare le loro funzionalità ed a promuovere il benessere della flora intestinale.

Erzegovesi sostiene che è indispensabile che il ‘giorni di magro’ e la restrizione calorica ed il digiuno intermittente siano affrontati sotto il controllo dello specialista e si collochino in una strategia alimentare sana, equilibrata, tendenzialmente vegetale e in sostanza coerente con i principi della sana alimentazione promossi dagli organismi ufficialmente accreditati: va bene il giorno di magro, ma è soprattutto necessario avere attenzione agli altri sei giorni della settimana.

Come tutte le diete, più o meno sponsorizzate e di moda, anche il digiuno non rappresenta la risoluzione del nostro rapporto col cibo: è una strada percorribile per acquisire una maggiore consapevolezza (quella che si definisce mindful eating) di come e perché mangiamo.

Consapevolezza che, secondo Erzegovesi, si raggiunge non solo col digiuno, ma soprattutto maneggiando il cibo, preparandoselo, scegliendo e tagliando le verdure, scoprendone poi lo straordinario sapore. Non a caso all’interno del suo reparto ospedaliero ha istituito una cucina didattica per la cura dei disturbi della nutrizione.

Per i restanti sei giorni della settimana anche il prof Erzegovesi sostiene una nutrizione bilanciata prevalentemente vegetale, coerenti con le più accreditate indicazioni nutrizionali che in altre occasioni sono state illustrate in questa rubrica: il piatto del mangiar sano promosso dalla Harward Medical Scool, le line guida per una sana alimentazione del CREA Nazionale, scaricabili gratuitamente dal web, che costituiscono un’eccellente fonte di informazione anche per i non specialisti.

Se è utile conoscere i vantaggi derivanti dalla pratica del digiuno, che possono riassumersi in una sollecitazione positiva al nostro metabolismo, in un contributo alla riduzione dell’apporto calorico settimanale, in un aumento della consapevolezza delle origini della propria fame, è indispensabile, come del resto ribadisce Erzegovesi, sapere quando non si deve mai intraprendere la pratica del digiuno[5]:

  • quando si è in fase di accrescimento della vita (bambini, adolescenti, donne in gravidanza e allattamento, situazioni di sottopeso e in corso di recupero)
  • in caso di disturbo del comportamento alimentare del tipo anoressia nervosa.
  • quando si stanno assumendo farmaci: il digiuno può modificare il loro assorbimento,
  • Nel caso di insorgenza di malattia o di convalescenza

Questo articolo riprende quanto apparso sul n° 102 di Vini & Cucina bresciana nella rubrica ‘Buonessere alimentare’. Le indicazioni qui espresse sono necessariamente generiche ed hanno lo scopo di fornire una panoramica aggiornata su alcuni temi inerenti le buone pratiche alimentari. Insisto sulla necessità di usare grande cautela nell’intervenire sul proprio regime alimentare, soprattutto in situazioni di squilibrio o sull’onda di mode dietetiche del momento o mutuate dal passaparola.

Gli articoli hanno uno scopo orientativo e in nessun modo possono essere considerati prescrizione di buone pratiche alimentari che, per essere tali, devono essere valutate alla luce delle caratteristiche individuali e degli obiettivi di benessere alimentare personali.

Nel caso di incertezza interpretativa di quanto scritto o semplicemente per avere alcune delucidazioni di massima sugli argomenti trattati, vi invito a scrivermi a [email protected] a cui risponderò molto volentieri.


[1] Stefano Erzegovesi, Il digiuno per tutti, Milano, Vallardi, 2019, pp. 224, la cit. è a p. 63

[2] Cfr. David J. Linden, La bussola del piacere, Torino, codice edizioni, 2017, pp.216).

[3] Cfr. Stefano Erzegovesi, cit., p. 36.

[4] Cfr. S.Erzegovesi, cit. p. 90

[5] Cfr. Erzegovesi, cit, pp.116,117).